Inaugurazione

Il prossimo 20, 21, 22 e 23 giugno verrà inaugurato a Bologna il percorso Genus Bononiae – Musei nella Città, con l’apertura del Complesso di San Colombano.

Dopo cinque edizioni dell’evento Bologna si rivela, che anticipavano ai bolognesi l’iniziativa in corso d’opera, prende finalmente vita questo straordinario percorso denominato Genus Bononiae – Musei nella Città, tassello fondamentale del tessuto urbano salvato, rivitalizzato e restituito alla città attraverso il restauro e il recupero all’uso pubblico di palazzi preziosi e sconosciuti anche alla maggior parte dei bolognesi.

Ad oggi già migliaia di persone hanno preso possesso di questo “Museo della collettività” che vuole uscire dalla dimensione statica e meramente storica, diventando presente, fruibile e godibile. Aprire gratuitamente e definitivamente al pubblico Palazzi, Chiese, Collezioni significa nell’intenzione della Fondazione Carisbo – finanziatrice e promotrice di tutto il progetto con uno stanziamento di oltre 70 milioni di euro ad oggi – e del suo ideatore (il Professore Fabio Roversi–Monaco) e dei suoi curatori (il Professor Massimo Negri e il consulente artistico Philippe Daverio) comunicare alla città e ai visitatori una idea nuova di energia collettiva che nasce dal prendere coscienza delle proprie radici e condividerle.

“Museo inteso come emblema di se stesso” – dice Fabio Roversi-Monaco – “come la Tour Eiffel per Parigi, o il Guggenheim di Bilbao”; progetto concepito con l’idea di riaprire un dibattito culturale, sociale ed economico, per capire le ragioni di tanta bellezza diffusa nelle nostre città ma non conosciuta dai più, per dare alle nuove generazioni e agli stranieri – e per restituire agli italiani – un’idea di coerenza dinamica del nostro patrimonio culturale e storico, anche attraverso spettacoli, mostre ed eventi musicali che animeranno i Palazzi. Questo nuovo tipo di lettura e fruizione museale implica una stretta collaborazione con realtà istituzionali che operano in ambito culturale nel territorio (Comune, Arcidiocesi, Associazioni, Fondazioni, Ospedali, Scuole, Opere Pie ecc).

In concomitanza con la Festa Europea della Musica, il 21 giugno, il Complesso medioevale di San Colombano (che si aggiunge alle strutture già attive di Casa Saraceni, Santa Cristina, San Michele in Bosco, la Biblioteca d’Arte e di Storia di San Giorgio in Poggiale e Santa Maria della Vita, tutte visitabili – eccetto San Michele, leggermente decentrata – con un percorso che non supera il chilometro), sottratto all’abuso e allo scempio, ospiterà la collezione di strumenti musicali donata dal Maestro Luigi Ferdinando Tagliavini e una biblioteca specializzata di argomento musicale, donata dagli eredi del Professor Mischiati. Sessanta strumenti antichi perfettamente funzionanti, dopo un delicato restauro, comporranno “un monumento sonoro” di particolare suggestione: da notare che gli strumenti, per mantenere la loro funzione intatta, verranno ciclicamente suonati. Un patrimonio all’interno di un gioiello architettonico di rara bellezza: grazie ai restauri, sono stati portati alla luce importanti ritrovamenti, tra cui una cripta di origine medievale e un affresco duecentesco attribuibile, probabilmente, alla scuola di Giunta da Pisano.

Complesso di San Colombano e Collezione Tagliavini

Dopo precedenti interventi, che non hanno mancato di danneggiare lo stato conservativo degli affreschi, il Complesso è stato acquisito dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, che ha avviato il restauro dell’edificio. I lavori hanno permesso importanti ritrovamenti, tra cui un affresco duecentesco raffigurante Cristo in croce con Santa Maria e San Giovanni e una cripta medievale. Inoltre, durante la fase di pavimentazione, è stata rinvenuta una sepoltura duecentesca, sormontata da una lastra tombale ottimamente conservata che, ultimato il restauro, è stata ricollocata nella posizione originaria.

Il Complesso di San Colombano ospiterà la collezione di strumenti musicali donata dal Maestro Luigi Ferdinando Tagliavini e una biblioteca specializzata di argomento musicale, donata dagli eredi del Prof. Oscar Mischiati. La collezione Tagliavini si compone di una settantina di strumenti musicali antichi – tutti perfettamente funzionanti – in particolare clavicembali, spinette, clavicordi e pianoforti, oltre a un gruppo di strumenti a fiato e alcuni strumenti meccanici, il cui arco temporale varia tra il XVI e il XX secolo. Gli strumenti sono stati sottoposti a delicati, prudenti ma efficaci restauri (per la maggior parte a Bologna ad opera dei “Mastri del legno” Arnaldo Boldrini e Renato Carnevali), che hanno fatto della collezione un insieme armonioso di “monumenti sonori” viventi. La collezione abbraccia molte scuole italiane ed europee.

Tra le scuole italiane primeggiano quella bolognese e quella napoletana, la prima con organi e clavicembali del XVII e del XVIII secolo e pianoforti del XIX secolo, la seconda con clavicembali e spinette dei secoli XVI, XVII e XVIII. La scuola romana è rappresentata da due clavicembali e da una spinettina del sec. XVII, quella veneziana da due “arpicordi” del sec. XVI, quella fiorentina da uno degli ultimi clavicembali italiani, opera di Vincenzio Sodi (1791–92) e dal già citato strumento di Giovanni Ferrini. I più importanti strumenti transalpini provengono dalle grandi capitali europee. Spiccano una spinetta “all’italiana” del parigino Louis Denis (1681), due pianoforti “a tavolo” costruiti rispettivamente a Londra e Amsterdam nel 1786, due pianoforti a coda viennesi del primo Ottocento, un minuscolo pianoforte “demi–incliné” a cassapanca realizzato a Parigi verso la metà dello stesso secolo e un grande pianoforte a coda berlinese del 1866.

Non mancano strumenti singolari, quali il “pianoforte a cristallo” di Giuseppe Bisogno (Napoli, c. 1860), il già citato pianoforte a cassapanca (Parigi, Michel Eisenmenger, c. 1860), il “Dulcitone” in cui sono percossi “diapason a forchetta” (Glasgow, Thomas Matchell, c. 1910). E vi è inoltre un gruppo di strumenti automatici, organi, pianoforti, carillons.

Luigi Ferdinando Tagliavini, nato a Bologna il 7 ottobre 1929, formatosi parallelamente negli studi classici e musicali, è stato titolare delle cattedre di organo di vari conservatori italiani ed è oggi, dopo averlo diretto per 35 anni, professore emerito presso l’Istituto di musicologia dell’Università di Friburgo (Svizzera). La sua attività continua a svolgersi con corsi presso scuole e accademie musicali di molte nazioni, sul piano concertistico e su quello della ricerca musicologica. Dottore honoris causa delle Università di Bologna e di Edimburgo, fellow onorario del Royal College of Organists di Londra, membro dell’Accademia di S. Cecilia di Roma e dell’Accademia Filarmonica di Bologna, è altresì detentore di numerosi premi e riconoscimenti per la sua attività nei campi della musica, della musicologia e della didattica.

La cripta medievale di San Colombano

Nel giugno 2007, in seguito al rinvenimento di pitture murali dipinte lungo la porzione sepolta delle murature della chiesa, sono iniziate indagini archeologiche sistematiche all’interno della chiesa di San Colombano. Lo scavo, che nella fase iniziale ha proceduto per progressivi ampliamenti dell’area, ha interessato tutta la parte interna della chiesa. In base ai dati fino ad ora raccolti la chiesa è sorta entro l’XI secolo e per tutta l’età medievale era provvista di una cripta con colonnato. L’edificio venne costruito al di sopra di un struttura più antica di tipo monumentale, databile fra l’età imperiale romana e l’età tardo antica, di cui sono emerse porzioni pavimentali in coccio pesto.

I lavori, eseguiti sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia–Romagna, hanno restituito importanti informazioni sullo sviluppo della città fra età tardoantica e basso medioevo.

La chiesa, realizzata in tre navate, probabilmente era più lunga di quanto attualmente conservato in alzato, e presentava un colonnato allineato con quello della cripta, alla quale si accedeva attraverso delle scale collocate nelle navate laterali. I dipinti della cripta, che venne interrata nel corso dell’ultimo venticinquennio del XV secolo e di cui si era persa memoria, raffigurano una Crocifissione, sulla parete laterale sinistra, e probabilmente una Epifania, molto frammentaria, nell’abside maggiore. La porzione meglio conservata, il Cristo in Croce con le due figure di dolenti, S. Giovanni alla sua sinistra e Santa Maria alla destra, doveva occupare una delle nicchie della parete della navata laterale, la cui copertura a voltine è andata completamente distrutta durante l’interramento della cripta. Il dipinto dal momento della scoperta è stato mantenuto in condizioni di umidità controllata, secondo le indicazioni fornite dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e dalla Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici di Bologna, che ne curano la tutela.

È stata avviata una complessa campagna diagnostica necessaria a fornire i parametri per impostare un corretto intervento di restauro, e grazie alla quale si ricaveranno informazioni importanti sulla tecnica pittorica di un’epoca povera di testimonianze così integre.

Crocifissione

La Crocifissione ritrovata su una delle pareti della cripta di S. Colombano rappresenta una scoperta di grandissimo valore storico e artistico. L’opera, per ovvi motivi, gravemente danneggiata, mostra tuttavia una straordinaria abilità di fattura, sia nella raffigurazione dei dettagli anatomici e nella profonda espressività dei gesti e dei volti, sia nel cromatismo che secoli di sepoltura e abbandono non sono riusciti a spegnere. Non a caso l’opera è stata immediatamente accostata al lavoro di Giunta Pisano, l’artista principale di tutto il Duecento italiano, autore di 4 croci dipinte una delle quali conservata proprio a Bologna nella basilica di S. Domenico. Il realismo che emerge dalle sue opere, con l’invenzione del cosiddetto Christus Patiens – contrapposto al Christus Triumphans – dal capo chino e sofferente, il cui corpo per la prima volta arcuato sembra staccarsi volumetricamente dal fondo della croce, fa di lui uno dei grandi innovatori della pittura italiana, discostandosi dalla fissità simbolica degli schemi bizantini e aprendo così la strada prima a Cimabue poi a Giotto.

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